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FORUM PA 2009

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Saved by Gianni Dominici
on September 22, 2009 at 4:46:24 pm
 

Creativity Room – FORUM PA – 12 maggio 2009

Uno degli appuntamenti fondativi nella costruzione del Manifesto è stato l’incontro che si è tenuto a FORUM PA lo scorso maggio. In quell’occasione una cinquantina (vedi elenco partecipanti) tra amministratori, studiosi e rappresentanti di aziende  hanno lavorato insieme una giornata contribuendo alla stesura della prima versione del Manifesto. Di seguito sono riportati un contributo introduttivo di Michele Vinello, l’introduzione alla giornata di Gianluigi Cogo, le considerazioni emerse nei nove tavoli di lavoro in cui si erano  distribuiti i partecipanti, la sintesi conclusiva che poi è andata a implementare la versione del Manifesto.

 

Introduzione – Michele Vianello

Quelle che a nostro avviso risultano essere le precondizioni di partenza per la discussione e per Introdurre alcuni principi che cambiano il modo di vedere la Pubblica amministrazione. Il punto da cui io partiamo è che la Rete è condizione per cambiare. Avere rete è precondizione per poter innovare profondamente. Serve innovare i territori, così come serve innovare la pubblica amministrazione.

 

Io ritengo, per esperienza e per diversi motivi, che le PA debbano impegnarsi in prima persona con grande forza ad avere rete: rete che però sia a banda larga, perché la maggioranza delle applicazioni web sia per la pa che per i cittadini necessitano di banda larga, e rete aperta. Una PA fa un atto straordinario se si dota di una rete per gestire meglio le informazioni, la rete deve essere rivolta ai cittadini, bellissimo dialogare tra PA ad alta velocità ma se manca il cittadino manca il protagonista.

Da ciò è importante che la Rete e il diritto alla Rete sia oggetto del confronto e della discussione funzionale alla definizione del manifesto.

Se hai rete si può parlare di “Cittadinanza digitale”. Un concetto che si compone di due termini. Un termine dalla lunga storia: “cittadinanza”, che però ovviamente è enormemente cambiato dal 900. Cittadinanza negli anni 2000 ha un significato che non può essere staccato dal concetto di rete, inteso come modo e strumento per confrontarsi, scambiarsi informazioni, comunicare. In altre parole l’accesso alla rete arricchisce il termine cittadinanza, associato alla novità: il digitale. 

Se, dunque, il termine cittadinanza vuole ancora avere forza e praticabilità deve essere accoppiato necessariamente al termine “digitale”.

Una volta giunti in rete cosa si fa? La rete è come una biblioteca che ha milioni di volumi. Un volume può essere conosciuto letto o abbandonato nella biblioteca. Chi ti aiuta a ascendere nella biblioteca sono i motori di ricerca. Se vuoi essere letto e i tuoi contenuti vogliono essere visti da altri è importante capire che nel web non c’è più un approccio unidirezionale ma un Web 2.0, la rete è luogo di scambio, dove ognuno confronta le proprie esperienze, mette se stesso in campo: used generated content, i contenuti sono generati dagli utenti, nel nostro caso i cittadini.

 

Chi fa l’amministratore deve pensare a un uso della rete che metta in condizione i cittadini di generare esso stesso i contenuti.

Il tanto discusso facebook, che cos’è se non un luogo dove persone si scambiano esperienze, opinioni, filmati che hanno scaricato su you tube, condividono esperienze.

Che cos’è wikipedia se non il luogo dove collaborano insieme per condividere contenuti di un’enciclopedia.

Che cos’è Flickr non è chi ha messo in rete Flickr fotografia, le valuta, le tagga. Dove è Chi partecipa che decide le gerarchie e non chi gestisce

“Le formiche hanno i megafoni” scrive Cris Anderson. E sono milioni di persone che oggi vanno in rete, la rete è il megafono, la rete gli da la possibilità di dire ciò che pensano, di scambiarsi le proprie opinioni, di mettere in discussione ciò che pensiamo sia assolutamente consolidato.

Il pubblico amministratore nel percorso di cambiamento ha due strade. Può scegliere di accontentarsi di utilizzare le nuove tecnologie per mettere in rete e per mostrare ciò che ha e ciò che già fa, di rendere più “bella” e un po’ trasparente la casa, era questo il senso delle vecchie reti civiche. Oppure c’è una seconda strada, che è quella che ha adottato il Comune di Venezia, ossia quella di utilizzare la tecnologia e le nuove reti per concedere al cittadino di determinare le tue priorità. Non è più la pubblica amministrazione ad autocelebrarsi, ma è il cittadino a stabilire se una PA è efficiente o inefficiente e non attraverso le faccine sorridenti o tristi, ma attraverso un intervento diretto. Il cittadino, attraverso la rete, interviene direttamente sull’organizzazione del lavoro dell’Ente, è lui che la determina, è il cittadino che detta l’architettura con la quale una PA costruisce i propri software. Secondo appunto una logica 2.0: è la rete che determina la costruzione dei tuoi software, è la rete e la partecipazione dei cittadini che determinano la gerarchia delle priorità degli amministratori pubblici. Il piano triennale delle opere, per fare un esempio banale, non è solo materia della quale si discute in ambito politico ma è un software attraverso il quale i cittadini durante il corso dell’anno, attraverso le loro segnalazioni, determinano le priorità di manutenzione urbana.

 

Per concludere vorrei lanciare come stimolo alla discussione nei tavoli le questioni legate al cloud computing, coworking, nomadic work, ossia ai 3 termini che delineano l’ultima espressione del lavoro nel pubblico impiego: il lavoro per obiettivi. Non è importante che un documento come le norme tecniche di attuazione vengano scritte dalle 8 del mattino alle 2 del pomeriggio, né tanto meno dove, è importante che vengano scritte. Cloud computing vuol dire la possibilità che tutto migra sulla rete, che le conoscenze non sono più mie ma nostre, che non esista più una struttura verticale incomunicabile ma una struttura orizzontale, che i tributi e il patrimonio devono dialogare, che i data base sono condivisi, che il computer non è necessario abbia giga 120 di disco fisso e 6 giga di Ram. Ciò che una PA deve consentire ai propri dipendenti è l’accesso alla rete, perché le conoscenze devono risiedere nella rete, è in rete che si miscelano le conoscenze. Perché non esiste più urbanistica, lavori pubblici e ambiente ma esiste “governo del territorio” che è una cosa trasversale, così si riforma la Pubblica Amministrazione. Coworking indica invece che in un luogo non c’è sempre e solo il dipendente dello sportello unico, tanto per fare un esempio, ma che magari, alcune volte, questo può condividere le proprie esperienze con un professionista. Così migliora l’uno e migliora l’altro. Non c’è nulla che impedisca una scelta del genere, non c’è alcuna legge che impedisca che in un luogo pubblico cablato ed aperto si confrontino esperienze completamente diverse e che non ci sia più la barriera il pubblico dipendente da chi ha a che fare direttamente con lui: used generated content. Infine, nomadic work implica che chi non ha un lavoro di front office col cittadino non debba garantire la presenza fisica in un luogo e in un determinato orario, congestionando gli spazi e i tempi di una città.

 

Vi ho posto 5 temi a forte innovazione perché crediamo che la PA italiana deve misurarsi guardando in avanti, deve decidere di uscire dalla logica nella quale è costretta perché non c’è nessuna legge che ci obbliga a lavorare così. Non è un problema di legge ma è un problema di approccio culturale, di scelta culturale e di mentalità; la rete non è stata usata fino in fondo, è una bella rete civica dove metti con cipria e belletto ciò che fai senza cambiarlo minimamente.

Qui il tentativo con alcune amministrazioni è chiedersi se sono follie? Io alcune le sto provando a fare dimostrando che le cose si possono fare se si cambia la cultura.

in questa stanza ci sono persone che stanno provando a percorrere questa strada, cosa ci serve? Ci serve mettere insieme queste esperienze, ci serve di fare una rete, un network di amministratori e tecnici capaci di guardare 3 minuti in avanti rete: innovatori come disobbedienti – come ha scritto Gianni Dominici, cioè coloro che decidono che bisogna uscire da ciò che ci hanno detto “è così e non si può cambiare”.

L’obiettivo che ci diamo oggi è dunque di discutere di un cambiamento in cui è necessario iniziare a mettere in piedi un processo condiviso.

 

Il manifesto cittadinanza digitale 2.0: come e perché – Gianluigi Cogo

Con la stesura di un Manifesto “Amministrare 2.0” si intende definire dei principi di riferimento sui quali produrre delle azioni.

Prendendo ispirazione dal Cluetrain Manifesto (www.cluetrain.com) e dai relativi principi dei mercati conversazionali, partiamo dal rimettere al centro la persona anche in ambito di un circolo produttivo e di conoscenza. Fermo restando che non parliamo di concetti e principi cristallizzati, ma in continua evoluzione e che possono essere adattati a vari contesti, la PA dovrebbe prendere come riferimento uno dei paradigmi del web 2.0 cioè: la PA è in beta permanente, perché non c’è nulla che non possa essere cambiato.

Partendo dunque dal Cluetrain Manifesto abbiamo iniziato a scrivere alcuni articoli in modalità cooperativa, utilizzando un wiki che vorremmo aprire a tutte le amministrazioni che hanno intenzione di lasciare il proprio contributo aderendo a una piattaforma sociale che dà la possibilità a tutti di emendare gli articoli già preparati, proporre le proprie idee e soluzioni e così via.

Il metodo che si propone di perseguire è quello di rendere ogni articolo un vero e proprio cluster tematico, gestito da un “responsabile” che nei prossimi mesi di lavoro presidi quel cluster, relazionandosi con gli altri e facendolo diventare un principio di riferimento.

Scopo del lavoro di oggi è di declinare i principi generali e le sfide individuate che hanno dato vita a questo processo al fine cominciare ad elaborare una prima versione del Manifesto .

I Principi generali dell'Amministrare 2.0 dai quali siamo partiti sono:

1) Il potere di valutare è dato all’utente: La PA 2.0 deve permettere ai cittadini di esprimere facilmente ed intuitivamente il loro giudizio sui servizi che adoperano.

2) Sfruttare l’intelligenza collettiva: Nessuno conosce meglio le caratteristiche necessarie per i servizi pubblici meglio di chi li usa, nessuno conosce i processi amministrativi meglio di chi nella PA lavora con competenza.

3) I dati come tessere di puzzle sempre nuovi: Il cittadino deve avere la possibilità di “remixare” tutti i dati che lo riguardano.

4) La nascita del “prosumer”: Ai servizi pubblici il cittadini non accede solo come consumatore ma ne diventa lui stesso produttore (il crowdsourcing).

5) La necessità del lifelong learning: Una PA 2.0 non può che essere un’organizzazione basata sulla formazione continua , sulla circolarità della conoscenza, sulla sperimentazione.

Mentre le sfide che abbiamo individuato e che una cultura e una prassi dell'Amministrare  2.0 deve puntare a vincere sono:

- proporre una nuova cultura dell'e-government. E' ancora troppo diffusa la cultura originale dell'-egovernment inteso come comunicazione istituzionale e fornitura di servizi on line.

- considerare la rete come accesso universale. La rete a banda larga deve raggiungere la totalità della popolazione ed essere considerata un bene universale disponibile per tutti.

- la lotta al social digital divide. Si deve basare sul diritto universale ma anche su politiche inclusive in grado di superare i blocchi culturali.

- Proporre la definizione dei diritti e doveri della nuova cittadinanza digitale.

- proporre una nuova cultura tecnologica. Il software disponibile per la PA rispecchia la struttura di lavoro attuale che tradisce una visione verticale piuttosto che orizzontale.

- proporre un nuova cultura organizzativa. Superare il primato della procedura a favore degli obiettivi.

 

 

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